Wounds (2019)

CHIAMAMI, DEMONE

Che Babak Anvari sia un regista da tenere d’occhio, non ci sono dubbi. Classe 1983, ha avuto le palle di girare un horror nel 2016 (Under The Shadow, che potete recuperare su Netflix) ambientato in Iran dove riusciva ad unire critica sociale e ghost story. Con un debutto così, il biglietto per Hollywood era assicurato. Ed ecco che, grazie a Netflix, Anvari scrive e dirige il suo secondo film intitolato Wounds. La storia racconta di un barista che trova nel suo locale un cellulare abbandonato da un gruppo di ragazzini. All’interno del cellulare troverà immagini sconvolgenti. Tra scarafaggi, alcool, riti esoterici, teste mozzate e ferite, sarà l’inizio di un incubo. Con buon senso estetico e un discreto tocco autoriale, Anvari prova ad unire il thriller psicologico, l’horror esoterico e pure il dramma romantico/esistenziale. Il problema è che nel complesso il film non c’entra mai l’obiettivo. Fortunatamente non siamo nei paraggi del teen horror, e questo è un grande pregio, ma il regista fatica a trovare una struttura narrativa veramente coinvolgente, nonostante ce la metta tutta ad inquietare lo spettatore. Il protagonista Armie Hammer è bravo a raccontare la discesa nella follia del suo personaggio, mentre Dakota Johnson rimane inespressiva come un muro di mattoni. Wounds rimane cmq un discreto esempio di come il cinema horror americano può dare spazio a giovani autori che in qualche modo possano imprimere il loro marchio di fabbrica. Anche se qui siamo lontani anni luce dalla perfezione, c’è un barlume di speranza nel nuovo cinema di genere.

trash
“una sceneggiatura un po’ traballante”

cult
“l’occhio” di Babak Anvari c’è, e si vede”

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