Gretel e Hansel (2020)

MARZAPANE “ART” HOUSE

Fin dalle prime scene, Gretel e Hansel può sembrare un film per fighetti. Ritmi lenti, inquadrature ricercate, struttura narrativa particolare. Insomma, l’esatto opposto degli horror mainstream di oggi (vedi per esempio lo sterile IT di Andy Muschietti). Il regista Osgood “Oz” Perkins ci aveva abituati a questo tipo di narrazione con i suoi precedenti film (l’ottimo “February” e l’interessante “Sono la Bella Creatura che vive in questa casa”), e anche in questo caso il suo tocco autoriale rimane intatto. La favola dei fratelli Grimm, nelle mani di Perkins, diventa quindi un film art house, fatto di atmosfere cupe e angoscianti, di scenografie stilizzate (la struttura della casa della strega) e di sonorità elettriche. Tutto perfetto quindi ? Non proprio, perchè se l’aspetto visivo è il suo punto di forza, paradossalmente è anche il suo punto debole e se la sceneggiatura di Rob Hayes prova a costruire qualcosa di nuovo (la storia del prologo), il regista cade spesso vittima del suo stile e le cadute di ritmo sono inesorabili. Ma al di là di questi difetti, Sophia Lillis e Alice Krige offrono due performance incredibili e alzano il livello qualitativo della pellicola. Potrei soffermarmi sui diversi significati nascosti, ma è meglio scoprire il film sequenza dopo sequenza. Sicuramente questo Gretel e Hansel è un buon inizio per tornare al cinema dopo mesi di astinenza.

trash
“qualche caduta di ritmo”

cult
“le intuizioni visive di Oz Perkins”

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