Gomorra 3 : la serie (2017)

STA SENZA PENSIER

Gomorra è l’epitomo del trashcult : neo melodici, macchine e motorini modificati, tagli di capelli che neanche i calciatori più estrosi di serie A, e l’uso del dialetto. Sì, perché se Narcos presenta 3 stagioni usando il colombiano dei narcotrafficanti, Gomorra è in napoletano a garantirne l’autenticità e una particolare sfumatura dei dialoghi che arricchisce la sceneggiatura e gli stessi personaggi con manierismi, e cadenze che altrimenti non sarebbero comunicabili. Come le ville sfarzose dei narcos, ci sono gli appartamenti kitch barocchi dei boss. A differenza della serie malavitosa americana, Gomorra fa emergere figure femminili di potere (in episodi per lo più diretti da registe poco conosciute, ma di grande talento narrativo come Francesca Comencini) che arricchiscono un immaginario fatto di “leonesse” con tute in ciniglia e soprannomi improbabili, e donne leali orgogliose e fiere come la Nike di Samotracia. Ormai arrivata alla terza serie, Gomorra è stato al centro di un’accesa discussione sul fattore emulativo che i protagonisti possono avere su labili giovani menti. La verità è che i protagonisti sono personaggi con nuance come solo i i grandi del cinema hanno saputo tratteggiarli e dimostrano ancora una volta che non esistono il bene o il male, ma esiste la rabbia, l’ambizione e la sete di potere. E come l’antica Grecia insegnava, esiste lo ubris, l’orgoglio che, derivato dalla propria potenza o fortuna, si manifesta con un atteggiamento di ostinata sopravvalutazione delle proprie forze. Ricordando che a chi vola troppo vicino al sole, si possono solo sciogliere le ali.

trash
“assolo di Scianel con tuta rosa in ciniglia e fallo barocco come microfono”

cult
“carcere, detenuti in protesta, Pietro Savastano alza una mano… silenzio”

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